Le OTA non sono cattive (ma sono un pessimo affare)

Lo dice Vikas Bhakta, fondatore di Ve-Go Technologies, società americana specializzata in app mobile per hotel. Perché le OTA, diciamoci la verità, hanno rovinato il mercato alberghiero. Fra trucchetti fiscali, commissioni stratosferiche, esperienze d’acquisto deludenti e campagne di marketing con tanti zeri e altrettanti sprechi, i grandi portali hanno spolpato un mondo che fino a pochi anni fa si reggeva sulle sue gambe con commissioni assai più sostenibili. Cosa riserva il futuro?

Tutte le grandi industrie sono costruite su grandi alleanze. E l’industria dell’ospitalità alberghiera non fa eccezione. Il mercato americano, per esempio, poggia le sue basi sulla collaborazione fra catene alberghiere e hotel affiliati. Da cosa si riconosce una partnership che funziona? Dal fatto che consente di crescere a tutti i partner coinvolti – proprio quel che è avvenuto per catene alberghiere e proprietari di hotel nell’ultimo quarto di secolo.

Dalla grande recessione degli anni 2009-2010, le OTA hanno assunto un ruolo sempre maggiore nell’industria dell’ospitalità alberghiera – e nella vendita delle camere, in particolare. Ma, a differenza della partnership di successo fra catene e proprietari di hotel, credo che le OTA si siano buttate a capofitto su pratiche commerciali che influenzano in modo negativo non solo l’industria alberghiera, ma pure i viaggiatori.

L’obbligo dell’obolo

Quando un viaggiatore prenota e paga una camera, scatta una tassa di occupazione alberghiera. Negli Stati Uniti, per esempio, a spartirsi questa tassa sono lo Stato centrale e gli enti locali – è pur sempre una fonte di entrate importante per i bilanci pubblici americani.

La tabella qui sotto illustra le differenze di tassazione fra le prenotazioni concluse con le OTA, come Expedia, Hotels.com o Priceline, e le prenotazioni tradizionali, dirette.

N.B.: * si riferisce alla tariffa della camera (stima secondo la semplicità di calcolo); ** si riferisce alla tassa di occupazione e di “diritti”.

Come per magia, la scappatoia di dedurre la commissione prima di calcolare la tassa di occupazione consente di risparmiare alle OTA 3 dollari. Questi 3 dollari, di norma, sarebbero entrate fiscali, statali e locali. Con questo escamotage, tuttavia, i 3 dollari vanno a rimpinguare i conti bancari, e i margini di profitto, dei grandi portali di prenotazioni.

Con un 15% di tassa di occupazione, ogni 100 dollari spesi su Expedia, Hotels.com o Priceline equivalgono a una perdita di 3 dollari per lo Stato e per le comunità locali – e un profitto in più per le OTA.

Nel 2013, si stima che le OTA abbiano fatturato 40 miliardi di dollari nel solo mercato americano. Se supponiamo che tutte le prenotazioni siano state pagate con le OTA, il calcolo è presto fatto: nelle casse statali e locali c’è un ammanco di 1,2 miliardi di dollari, proprio a causa delle pessime pratiche commerciali delle OTA.

Negli ultimi anni, molti stati federali americani e altrettanti governi locali hanno portato a giudizio le OTA colpevoli di queste pratiche fiscali: pochi, comunque, sono stati i successi per le casse pubbliche.

Ancora più allarmante è osservare l’enorme quantità di denaro pronto cassa investito dalle OTA per combattere enti statali e locali nelle aule di tribunale di tutta l’America.

Non è una scappatoia: è un cattivo business.

L’esperienza degli ospiti

Secondo i dati di un report di JD Powers del 2012, i viaggiatori che prenotano con le OTA valutano la loro esperienza 45 punti in meno rispetto a chi prenota direttamente con l’hotel.

In molti casi, la rigidità delle tariffe imposta dalle OTA genera attriti fra hotel e ospiti.

Come agente al front desk, ho vissuto in prima persona casi di viaggiatori che avrebbero voluto modificare o cancellare il loro soggiorno ma che, a causa delle regole tariffarie inflessibili delle OTA, sono stati costretti a rinunciare, contro i loro stessi desideri.

Le OTA dovrebbero garantire che l’intera esperienza di viaggio sia memorabile, non solo arraffare più commissioni possibili dalle prenotazioni, per poi fornire un servizio clienti scadente ad acquisto concluso. Certo, è vero che le OTA hanno saputo aggregare migliaia e migliaia di hotel e semplificare la ricerca e la prenotazione del soggiorno.

Tuttavia, certe difficoltà restano. Nessun albergatore vuole penalizzare gli ospiti che hanno prenotato con i portali offrendo loro un servizio più scadente. Sarebbe molto meglio garantire un soggiorno migliore in cambio della giusta tariffa. Quando l’esperienza degli ospiti soffre a causa del modello di distribuzione…

Non è un miglior canale di vendita: è un cattivo business.

Il marketing con AdWords

Le OTA, nella loro forma più semplice, sono siti Internet con budget di marketing stratosferici, finanziati da commissioni sulle prenotazioni altrettanto fuori misura.

Per esempio, Expedia e Priceline sono due dei più grandi clienti di Google. Insieme, investono su AdWords qualcosa come 2,5 miliardi di dollari all’anno – miliardi, non milioni.

Di mirror marketing abbiamo già parlato poco tempo fa. Se le OTA fanno concorrenza agli hotel sul loro stesso nome, il costo per ogni clic pagato su AdWords salirà. Se aumentano i costi di distribuzione, crescono pure i costi di acquisizione per cliente per gli hotel.

Oggi le OTA aggrediscono il mercato su scala globale e dispongono di budget con nove zeri, ben superiori a quelli delle più grandi compagnie alberghiere del mondo. In più, fanno un cattivo uso di questo budget: gestiscono le loro campagne di promozione online con personale, in media, meno preparato rispetto a molti esperti di marketing, inevitabilmente alle prese con budget assai più risicati.

Non è marketing vincente: è un cattivo business.

Il Billboard Effect

Di effetto Billboard si parla da anni – e anche noi non ci siamo risparmiati. Nel 2010, gli albergatori si sono convinti che grazie alle OTA il numero di prenotazioni complessive sarebbe cresciuto, al pari delle prenotazioni dirette.

Vista così, più prenotazioni e più ricavi somiglia tanto al Paese di Bengodi. Ma come molti hanno provato sulla loro pelle, l’aumento del volume di prenotazioni non sempre si traduce in più profitti. Per l’appunto, l’HAMA (Hospitality Asset Managers Association) e HotelAVE (Hotel Asset Value Enhancement) hanno pubblicato un documento in cui dimostrano, dati alla mano, una riduzione dei profitti per gli hotel, proprio a causa del modello di pagamento adottato dalle OTA.

In particolare, è stato accertato che il programma Expedia Partner Preference ha ridotto la redditività degli albergatori. La domanda è: con le OTA quali sono i rischi per i profitti degli hotel?

L’aumento dei ricavi a scapito dei profitti mina la capacità degli hotel di offrire agli ospiti la qualità di soggiorno che meriterebbero, nonché la possibilità di investire in rinnovamenti e ristrutturazioni con la giusta continuità. Se i ricavi erodono i profitti…

Non è un incremento: è un cattivo business.

Rischio vs. Premio

Qual è la piaga per tutti gli albergatori alle prese con le OTA? Indovinato. La commissione sulle prenotazioni, che da un minimo del 15 arriva anche al 30%. Per decenni, la commissione standard adottata nell’industria turistica si aggirava attorno al 10%. Con una provvigione simile, tutti i partner coinvolti nel processo di prenotazione possono trarre benefici e veder crescere il loro business, senza danneggiare le possibilità di espansione degli altri soggetti.

Dal 2010, le OTA hanno conosciuto un vero e proprio boom dei volumi di prenotazioni. Nello stesso tempo, gli albergatori hanno visto una riduzione dei loro margini di profitto.

In altre parole, le OTA hanno eroso la redditività sperimentata dagli albergatori nei precedenti periodi di espansione economica – e, in alcuni casi, i portali hanno azzerato i margini di profitto degli hotel.

Usciti dalla peggior recessione nella storia dell’industria alberghiera americana, i proprietari di hotel si attendono la grande ricompensa, proprio per compensare il grande rischio – ossia, il possesso dell’immobile.

Ma le OTA, e le loro commissioni irrazionali, hanno cambiato il rapporto fra rischio e premio per gli albergatori. Com’è buona norma per tutti gli investitori di questo mondo, se il rischio è superiore alla possibile ricompensa, si cambia investimento. Per esempio, negli ultimi anni è diventato molto più rischioso costruire e aprire nuovi hotel. Non a caso, nel 2014, si è osservata una riduzione del 50% per il volume di nuove camere inaugurate. Il numero di 383 mila camere di giugno 2014 impallidisce se messo a confronto con le 463 mila di giugno 2006 – ed è ben inferiore anche alle 569 mila del 2007 e alle 654 mila del 2008.

Non è scienza missilistica: è un cattivo business.

Conclusioni

Per la maggior parte dei mercati, i costi di distribuzione sono marginali. Come ha costruito il suo impero Amazon? Ha abbassato i costi di distribuzione per un certo numero di mercati verticali.

Una delle massime più famose di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, è proprio questa:

Il loro margine è la nostra occasione

Amazon si vanta di ridurre i prezzi per i consumatori, abbattendo i costi di distribuzione. Al contrario, le OTA hanno fatto salire le tariffe per i viaggiatori, incrementando i costi di distribuzione.

Oggi, le OTA possono ancora essere un male necessario. Tuttavia, con l’esplosione di smartphone e app, le possibilità sono infinite per le nuove compagnie di viaggio pronte ad aggredire il mercato mobile di domani.

Liberamente tratto da Online travel agencies are not evil – but they are bad business, di Vikas Bhakta