La dipendenza dalle OTA? Se vuoi fare revenue, è necessaria – Intervista a Franco Laico

Franco Laico, CEO & Co-Founder Franco Grasso Revenue Team

Meno fatica e più risultati. È la promessa del Revenue Team di Franco Grasso. Abbiamo parlato di Revenue Management con Franco Laico, co-fondatore dell’unica realtà italiana specializzata in revenue e braccio destro – a volte pure sinistro, precisa lui – di Franco Grasso.

Si può dire che la coppia Franco & Franco sia stata fra i precursori del revenue management in Italia. È corretto? Come si è evoluta questa professione nel corso degli anni?

Senza dubbio, sì. Il merito di aver iniziato spetta tutto a Franco Grasso.  Il primo libro in italiano sull’argomento è del 2006 ed è suo, pubblicato da Hoepli, senza nessun riferimento bibliografico, perché non è la traduzione di qualcosa che già esisteva, ma è il frutto di elaborazione ed esperienza sul campo.

Il primo approccio di Franco Grasso con lo Yield management risale agli inizi del 2000, quando ha iniziato a fare formazione, spiegando le sue teorie alla realtà alberghiera di allora.  Questa esperienza formativa non è ancora terminata: la nostra Revenue Academy continua a fare il tutto esaurito, edizione dopo edizione.

Nel 2005, arrivò la prima consulenza vera: fu da lì che iniziò anche la collaborazione con Franco – l’amicizia, invece, risale a circa 15 anni prima. Da allora il nostro modo di fare Revenue Management non è cambiato tantissimo, perché il nostro punto di riferimento è il cliente finale e quel che lui vuole.

È ovvio che l’esperienza ci ha portati sempre a migliorare e ci ha fatto capire molte dinamiche che, agli esordi, non erano chiare. In più, dobbiamo considerare l’utilizzo degli strumenti tecnologici, che si sono evoluti nel tempo, come il nostro software Revolution Plus, oggi parte integrante del nostro lavoro quotidiano.

L’evoluzione della consulenza di Revenue Management ha preso una piega che, molto spesso, non condividiamo del tutto, più rivolta all’utilizzo della tecnologia per riuscire a vendere anziché dedicarsi all’elaborazione di una politica tariffaria che, se corretta e in linea con le richieste del mercato, viene amplificata dalla tecnologia. Conosciamo tante aziende che fanno consulenza di Revenue Management e tutte si occupano di Web marketing, ma, ad oggi, non ho ancora trovato una società come la nostra che non si occupa di Web ma solo di definizione ed elaborazione di una politica tariffaria.

E oggi cosa significa fare revenue? Come si possono ottenere risultati apprezzabili?

Ognuno declina il significato di revenue a modo proprio. Per noi, vuol dire confrontarsi con le strutture, capirne i valori aggiunti, leggere i loro dati storici, elaborare una strategia tariffaria, eliminare tutte quelle barriere alla vendita, come minimum stay, non rimborsabili, allotment e altro e analizzare ogni giorno i movimenti occupazionali per massimizzare il risultato aziendale. È un lavoro attento e quotidiano, di analisi e attenzione alle conseguenze di ogni variazione tariffaria.

Tutti parlano di troppa dipendenza dalle OTA, ma mi pare che questa non sia la tua opinione. È così?

Esatto. Se vogliamo ottenere il massimo oggi, dobbiamo applicare le tecniche di Revenue Management alla situazione attuale; applicare significa sfruttare al meglio gli strumenti esistenti. La dipendenza da un solo canale (o due) non mi piace come concetto generale, ma, ora come ora, non vedo alternative realistiche.

Per riempire le strutture alberghiere, dobbiamo impegnarci a spendere denaro. Una volta bisognava partecipare alle fiere e riconoscere tariffe nette ai tour operator, quindi incassare meno di quello che il cliente pagava. Oggi, si tratta di sfruttare al meglio le OTA e pagargli la commissione. La commissione ai tour operator era del 30-33%; quella alle OTA è del 18-22% o, a volte, qualcosa di più ma, in ogni caso, sempre meno di prima. Per parlare di clientela diretta, senza nessuna spesa o commissione, si deve andare indietro agli anni Ottanta.

Non sto dicendo che non voglio i clienti diretti. In modo più semplice, penso che ostinarsi a cercare clientela diretta non è l’azione di marketing migliore possibile. I costi da sostenere per ottenerla sono alti e, appena smetti di investire, calano le prenotazioni.

Il mercato sta andando nella direzione a lui più consona e a noi spetta il compito di capire quale sia e assecondarla per ottenere il massimo risultato. Dobbiamo essere sempre informati per prendere le decisioni corrette.

Airbnb si è candidato per contendere quote di mercato a Booking.com e a Expedia. A differenza di Booking, Airbnb prevede una commissione, addebitata alla struttura ricettiva, e un “costo del servizio” (service fee), a carico dell’ospite. In altre parole, l’hotel non ha il pieno controllo sul prezzo finito che compare su Airbnb. Come cambia, se cambia, il modo di fare revenue in questo portale?

Airbnb è andato a colmare un vuoto, dando la possibilità a tanti privati di fare qualche soldo, in maniera relativamente semplice, e ai clienti di avere, a volte, interi appartamenti a disposizione, spesso in località molto particolari e a prezzi, spesso, molto competitivi. Poi, non va dimenticato l’aspetto relazionale, il contatto diretto con il proprietario: insomma, un modo diverso di pensare al viaggio.

La proposta, agli occhi del cliente, è diversa da quella delle OTA e il costo extra che l’ospite deve sostenere viene senza dubbio percepito in modo diverso.

Detto questo, non sono sicuro che, con il passare del tempo, questo costo non possa diventare un freno alle vendite. In più, non sono affatto convinto che Airbnb si stia muovendo nella direzione che l’ha reso famoso: se decidesse sul serio di andare nella stessa direzione delle OTA tradizionali, perderebbe la sua peculiarità.

Per quanto riguarda gli aspetti tariffari, se si parla di vendita di singoli appartamenti, possiamo mettere in campo il Revenue Management, ma solo per elaborare una corretta tariffa di vendita iniziale: non ci sono i margini, invece, per poter pensare a una dinamicizzazione del prezzo. Cambia l’approccio: si parla sempre di ottimizzazione, ma con listini dinamici e tariffe last minute.

Leggiamo spesso dei vostri roadshow in camper, con cui raggiungete anche destinazioni, per così dire, minori. Quanto paga questa strategia?

È una strategia di lungo periodo. Non riusciamo a fare i conti sul ritorno di ogni singola tappa del nostro Grand Tour perché, a volte, le strutture ci contattano a distanza di mesi o anni. Posso dire che il bilancio è sicuramente positivo. Il Grand Tour ha già 4 anni di vita e nasce con l’idea di spiegare a una destinazione che fare Revenue Management tutti insieme non solo è possibile, bensì è auspicabile, perché ne amplifica gli effetti. Non ci sono situazioni di cannibalizzazione ma, al contrario, l’intera destinazione ne risente in modo positivo. Stiamo cercando, con non poca fatica, di coinvolgere stabilimenti balneari, impianti di risalita, parchi a tema e tutto l’indotto. Tantissimi di loro possono applicare tecniche di Revenue Management per migliorare i loro fatturati.

Una precisazione è d’obbligo per le destinazioni minori. Il fatto che siano meno conosciute di altre non vuol dire che non abbiano grosse potenzialità. Per esempio, ci è capitato spesso di “scoprire” con piacere che i margini di crescita sono stati superiori alle più rosee aspettative.

Il vostro Revenue Team è stato il primo a mettere in pratica il revenue territoriale e di destinazione. In questo senso, avete teorizzato e applicato il concetto di Unità Territoriale Revenue (UTR): puoi spiegarci in cosa consiste e perché è importante?

L’UTR è uno strumento potentissimo, se ne parla già nel secondo libro di Franco Grasso, pubblicato nel 2012. Se in una destinazione una sola struttura applica le nostre tecniche di Revenue Management avrà senza dubbio grandi benefici in termini di guadagni, occupazione e visibilità online. Tuttavia, se in quella stessa destinazione sono tante le strutture ad applicare le nostre tecniche, i risultati sono amplificati, perché non è solo la singola struttura ad aumentare la visibilità online, e quindi prenotazioni e fatturato, ma è la destinazione stessa a essere più visibile. Questo significa avere un pubblico molto maggiore, che vede e sceglie le strutture.

Il fondamento dell’UTR è l’assenza di concorrenza: la maggior parte degli albergatori, storicamente, non è molto propensa a collaborare e a “fare rete” con i propri “vicini di casa”. Quali argomenti usi per tentare di convincere chi è riluttante?

Alla base delle UTR c’è uno dei concetti più importanti del Revenue Management, questo: il numero di turisti che vengono in un hotel, o in una destinazione, può essere aumentato, oggi grazie alle OTA, senza rubarle agli altri. Così funziona già oggi. Gli albergatori che non vogliono condividere nulla con i loro vicini sono figli di una mentalità precedente a Internet: a quel tempo, trovare i clienti era più difficile e per aumentarli era necessario portarli via ai concorrenti.

Questo concetto oggi non è più vero. I turisti sono tanti e viaggiano sempre più spesso. Per rendersene conto, basta applicare tariffe dinamiche, controllarle ogni giorno, togliere tutte le restrizioni e aprirsi al nuovo mercato.

Quali sono stati i risultati più rilevanti ottenuti grazie alle UTR?

Incremento di presenze, di fatturato – e di guadagno – e di soggiorno medio. Tutto questo non a scapito degli altri hotel che non applicano le nostre tecniche di Revenue Management, che hanno mantenuto quel piccolo incremento fisiologico annuo, come negli anni precedenti. È molto importante anche l’aumento dell’indotto sul territorio.

Tutti questi aspetti sono molto positivi e molto importanti in un momento storico come quello che stiamo vivendo. E non siamo ancora all’ottimizzazione: ci sono ancora grandi margini di crescita per le destinazioni.

Hai un osservatorio privilegiato sul panorama alberghiero, italiano e non. Quali sono le speranze e i timori più comuni fra i gestori di strutture ricettive che si avvicinano, oggi, al Revenue Management?

Le speranze sono legate alle prospettive che il Revenue Management possa farli uscire da questa situazione di stallo in cui si sono venuti a trovare. I timori hanno a che fare con l’affrontare qualcosa che, nella loro testa, non è chiaro; la stessa testa, a volte, gli dice di evitare di fare quel che non hanno mai fatto, perché sono convinti che farlo avrebbe peggiorato ancora la situazione.

Quindi, credo che la preoccupazione più grande sia legata alla paura che tutti abbiamo del cambiamento. Fare cose che non si sono mai fatte, che magari non fanno i loro colleghi, affidare la gestione tariffaria della propria azienda a qualcuno di esterno, sono scelte che possono essere difficili da affrontare. Si entra in un territorio sconosciuto, in cui i risultati non sono sempre subito comprensibili. Insomma, si tratta di un cambiamento complicato. Ma il futuro non è tutto nero.

Comincia ad esserci anche una classe di imprenditori che ha sperimentato i risultati del Revenue Management, ha preso fiducia e si è convinta ad ampliare sempre di più il numero di strutture che gestisce. Questi imprenditori iniziano a osare perché hanno capito che il problema non è che mancano i turisti, ma che gli strumenti usati fino a oggi per trovarli non sono quelli giusti. I parametri sono cambiati: non più il prezzo medio di vendita ma RatePAR (prezzo medio di vendita X % di occupazione); non più prezzo uguale qualità, ma prezzo variabile in funzione dell’occupazione e qualità data dalla reputazione della struttura ricettiva. Insomma, anche su questo fronte esiste tanto spazio per crescere.

I PMS raccolgono una mole ingente di dati: anche per questo, nessuno dovrebbe fare a meno di questo strumento. Tuttavia, per molti albergatori, è difficile orientarsi in questo mare di numeri. Quali statistiche non dovrebbero mai perdere di vista per massimizzare i profitti dei loro hotel?

Le statistiche sono le stesse che abbiamo sempre usato: è il modo di leggerle che è cambiato. Dobbiamo valutare l’andamento di ogni giorno e non per periodi più o meno lunghi. In questo senso, non si può più dire che il mese di giugno sta andando bene o male; invece, ci si dovrebbe chiedere quali sono i giorni del mese di giugno che stanno andando male e, quindi, trovare soluzioni di vendita per quei giorni, anziché per tutto il mese. Bisogna realizzare un’analisi attenta dell’andamento storico, sempre per giorno, per capire come muoverci e cosa aspettarci per il futuro.

È vitale usare un PMS nel modo corretto, perché quei dati valgono euro sonanti. Quel che ci dice il PMS deve essere il punto di partenza per tutti i ragionamenti futuri. Per esempio, è importante conoscere il prezzo medio di vendita, ma solo se siamo in alta occupazione (occupazione che rasenta il 100%). In questo caso, è necessario capire chi ha pagato il prezzo medio inferiore ed evitare di riprenderlo in futuro per i periodi più richiesti. Al contrario, per i periodi di bassa e media stagione, dobbiamo considerare il RatePAR (prezzo medio di vendita x % di occupazione), perché dobbiamo sapere se abbiamo venduto a prezzi troppo alti, impedendo di aumentare l’occupazione.

Quindi, ci stai parlando della tecnica del nesting, vero?

Esatto. Nei periodi storicamente di alta occupazione, si tratta di scegliere, anzitutto, i segmenti di clienti con più possibilità di spesa – se l’occupazione non è alta, invece, questa scelta è preclusa.

Parlando di nesting, una cosa che chiedo spesso agli albergatori è se pensino che i loro clienti abituali, quelli dell’alta stagione, siano tutti indispensabili e, più in generale, se i clienti abituali, in periodi di alta occupazione, siano sempre indispensabili. Il più delle volte, la risposta è titubante e, a grandi linee, è questa: i clienti abituali prenotano di anno in anno e creano uno zoccolo duro che dà tranquillità e sicurezza di incassi.

Proseguendo nell’analisi del nesting, tuttavia, andando a chiedere quali sono i clienti che pagano in media meno, viene fuori che, spesso, sono proprio quelli abituali. Questa è solo un’analisi superficiale ma è evidente che i clienti abituali, nei periodi di alta stagione, sono un freno all’aumento del fatturato. L’analisi è semplice da fare. La cosa complicata è rinunciare a quel tipo di cliente, perché fino a ora erano sempre stati visti come un’ancora di salvezza.

Quello che vorrei sottolineare è che le analisi non sono difficili da fare. La parte difficile è mettere in pratica le soluzioni che emergono da queste analisi: spesso, l’albergatore è troppo legato e coinvolto per prendere decisioni obiettive.

Siete l’unica azienda di consulenza italiana che si sta impegnando a varcare i confini nazionali. Per l’estero, esistono differenze nell’approccio al revenue o il vostro modello è replicabile anche altrove?

Il nostro modello è replicabile e funziona anche all’estero. Abbiamo avuto esperienze in molti Paesi, sia europei che extraeuropei, e abbiamo avuto la riprova della bontà del metodo. Ci siamo sempre orientati a capire cosa cercano i clienti che vogliono andare in vacanza: questo è un concetto valido ovunque.