Hotel parity rate: tenerla o cestinarla?

Il dilemma ronza nella testa degli albergatori dalla notte dei tempi. Cosa fare della parity rate? Molti la considerano una vera iattura. Pochi o pochissimi riescono a conviverci con serenità.
A chi giova questa politica dei prezzi e cosa succederebbe se, da un giorno all’altro, il mercato perdesse la parity rate? Ce lo provano a spiegare due esperti del ramo…

 

 

La parity rate è sempre un tema controverso e complicato da sviscerare. Di solito, le discussioni vertono su 3 punti:

1. è una cosa buona per gli hotel?
2. è una cosa buona per i viaggiatori?
3. è legale?

Contro la parity rate

La parity rate non serve al meglio gli interessi degli hotel. Questo perché, per sua stessa definizione, limita le possibilità di gestione delle tariffe da parte degli albergatori: si riducono le tariffe per attirare l’attenzione dei consumatori più sensibili al prezzo e si conservano le tariffe più alte per quei consumatori meno sensibili al prezzo. A dirlo è Alex Dietz, Principal Industry Consultant per SAS Institute, società americana specializzata nel settore del business intelligence, in un articolo pubblicato su EyeforTravel.

Alcuni hotel adottano la parity rate come strategia di base. Altri, la maggior parte, la subiscono come conseguenza della loro presenza nei portali delle OTA.

Ho sentito dire che la parity rate servirebbe a ridurre la complessità e la confusione dello shopping dei consumatori. Non credo che la parity rate serva al meglio i loro interessi. Nel lungo periodo, il consumatore trae più vantaggio dall’efficienza del sistema di prenotazioni, sostiene sempre Dietz.

Secondo il consulente del SAS Institute, la parity rate manipola il mercato della distribuzione in due sensi:

  • distorce la competizione, eliminando la possibilità di differenziare le tariffe;
  • riduce la possibilità di migliorare il mercato attraverso l’efficienza del servizio di distribuzione.

Dal punto di vista dell’albergatore

Ricordi cosa succedeva nell’epoca pre-OTA? Era del tutto comune che l’hotel applicasse una commissione standard del 10% per tutte le offerte vendute dalle agenzie di viaggio. Questa pratica aveva due obiettivi:

  • incentivare le vendite su un canale terzo, le agenzie di viaggi;
  • garantire che il prezzo fosse sempre costante.

In altre parole, fu l’inizio della parity rate. Da allora, cosa è cambiato? Almeno due cose:

  • i livelli di commissione, cresciuti in modo esponenziale;
  • il potere e l’efficacia del canale di distribuzione: dalle Travel Agency siamo passati alle Online Travel Agency.

In molti casi, le commissioni sono raddoppiate da allora e gli hotel hanno perduto quote di mercato in favore delle OTA. Così, ora, gli albergatori si trovano ad affrontare una minaccia più grave, secondo Richard Ang, vice presidente della divisione vendite e marketing di Hotel Equatorial.

Per molti – prosegue Ang – quel che fa più rabbia è l’impossibilità di competere facendo leva sui prezzi, a fronte di un mercato di fatto bloccato dalla regola della parity rate. Il vero malcontento nasce da due situazioni: le commissioni troppo elevate; l’impossibilità per gli hotel di difendersi dall’erosione delle loro quote di mercato a beneficio delle OTA.

Perché la parity rate esiste?

Nella discussione sulla parity rate sono almeno tre gli attori coinvolti: gli hotel (e i loro proprietari); i brand; le OTA. Noi ci aggiungeremmo anche i consumatori. A chi dei tre (o quattro) giova di più l’esistenza della parity rate?

Secondo Dietz, la parity rate è una specie di polizza sulla vita per le OTA: preclude l’ingresso sul mercato della distribuzione ai nuovi player che vorrebbero differenziarsi dalla concorrenza in base al prezzo; in pratica, la parity rate funge da deterrente per i nuovi soggetti. Allo stesso modo, si può sostenere che la parity rate aiuti i brand, garantendo che la brand equity non soffra a causa di tariffe più convenienti rese disponibili su mercati differenti.

Per Ang, tuttavia, la parity rate è necessaria anche per gli hotel, che in tal modo possono gestire con più facilità le tariffe sulle varie piattaforme di distribuzione. Sempre secondo Ang, poi, la parity rate assicura la fiducia dei consumatori: in uno scenario di prezzi differenziati, i viaggiatori farebbero più fatica a scegliere ed esiterebbero di fronte all’acquisto. La parity rate, poi, evita che gli hotel si scannino fra loro con prezzi sempre più diretti al ribasso (vendite sottocosto). Ultimo ma non ultimo, la parity rate garantisce una base solida per un’efficace gestione delle revenue.

Tutti soffrono

Passiamo agli svantaggi. Dal punto di vista degli hotel, gli alti costi di commissione applicati dalle OTA sono inaccettabili. Gli hotel potrebbero combattere le OTA sono con una politica di prezzi dinamici, esattamente quel che non consente di fare la parity rate.

Dal punto di vista dei consumatori, trovarsi di fronte alle stesse tariffe, sia che si prenoti direttamente dal sito dell’hotel sia che si scelga un portale, è incomprensibile. Il consumatore più informato sa che gli hotel riconoscono alle OTA una percentuale di commissione e, proprio per questo motivo, trova illogico che, pur prenotando direttamente, non abbia diritto ad alcuna riduzione di prezzo.

Dal punto di vista delle OTA, la parity rate frena la concorrenza sul mercato. Se tutte le OTA hanno le stesse tariffe, un portale come può conquistare quote di mercato a discapito di un suo concorrente?

Ripensare le regole

Secondo Ang lo spazio per migliorare la situazione c’è, a patto che si rispettino certe condizioni:

1. sarebbe una bella cosa se le OTA osservassero veramente la parity rate anziché invitare ogni giorno gli hotel a proporre offerte esclusive per il breve periodo, pensate esclusivamente per infrangere il principio della parity rate.

2. A causa dell’elevata disparità fra i costi della distribuzione diretta e quelli della distribuzione indiretta, gli hotel dovrebbero avere la possibilità di limitare le vendite sui canali ad alto costo. Le OTA devono capire che la parità delle tariffe non può andare di pari passo con la parità delle disponibilità.

3. Infine, le OTA devono applicare rigorosamente la parity rate e sanzionare anche con l’espulsione gli hotel che non giocano secondo le regole.

Alex Dietz prospetta altre soluzioni. Anzitutto, ai revenue manager che adottano la parity rate volontariamente, a prescindere dalla presenza del loro hotel sulle OTA, consiglia di sospendere tale pratica o, quantomeno, di renderla più flessibile: ne deriverebbero benefici sia in termini di spese di distribuzione sia in termini di entrate generate. Hotel e brand, inoltre, dovrebbero negoziare gli accordi di parity rate: per esempio, potrebbero accettare la parity rate solo sui quei canali in grado di assicurare i loro obiettivi in termini di costi e di volumi di vendite.

La domanda fatidica, a questo punto, è: la parity rate dovrebbe scomparire? Così come ora, secondo Dietz, la parity rate non giova nel lungo periodo né agli hotel né ai brand e neppure ai consumatori. In più, sempre secondo Dietz, l’applicazione della parity rate richiede un certo investimento di tempo da parte dei revenue manager degli hotel – tempo che potrebbe essere investito in altre attività. In sostanza, il consiglio di Dietz agli hotel e ai brand è questo: rinegoziare le condizioni della parity rate o, perlomeno, modificare la sua attuale applicazione. Questo perché uno scenario di mercato orfano della parity rate potrebbe generare disagi significativi già nel breve periodo. In teoria, sempre secondo Dietz, l’assenza della parity rate potrebbe dar vita a una guerra senza sconti fra le OTA e i siti dei grandi brand, a tutto svantaggio degli hotel indipendenti.

Ang dà una risposta più sintetica alla domanda del secolo:

Sì alle vendite in regime di parity rate. Non alla parità di inventario (disponibilità) in tempo reale.

Intanto in Francia…

La più grande rappresentanza di lavoratori del settore alberghiero d’oltralpe, la UMIH, sostiene che Booking.com, Expedia e HRS hanno infranto le regole sulla concorrenza in vigore in Francia e in Europa. In che modo? Obbligando di fatto gli hotel a vendere le camere sui portali online alle tariffe più basse e impendendo, al contempo, agli albergatori di offrire soggiorni a prezzi scontati su altri canali, inclusi i siti Web degli stessi hotel. L’unione dei lavoratori ha depositato la sua denuncia presso l’autorità francese per la concorrenza, aggiungendo, inoltre, che le commissioni imposte dai portali agli hotel hanno raggiunto cifre esorbitanti.

I portali di prenotazioni sono diventati canali di distribuzione cruciali per gli hotel francesi, in particolare per i più piccoli. Tuttavia, i vantaggi offerti dalle OTA sono stati via via cancellati dagli effetti nocivi delle pratiche commerciali adottate in violazione delle leggi europee e francesi sulla concorrenza, hanno fatto sapere i portavoce dell’UMIH. Il presidente dell’unione, Roland Héguy, ha denunciato anche l’inasprimento radicale delle clausole contrattuali imposte agli albergatori che, data la struttura del mercato, non sono nelle condizioni di poter rifiutare la presenza dei loro hotel sui portali online.

L’attacco alle OTA dal fronte francese arriva un mese dopo l’apertura di un’inchiesta sulla pratica della parity rate da parte dell’autorità per la concorrenza svizzera, avviata a carico degli stessi tre portali citati dall’UMIH. E come dimenticare la denuncia da parte dell’Office of Fair Trading britannico di un anno fa? Allora sotto la lente d’ingrandimento delle autorità di Sua Maestà finirono Expedia, Booking.com e Intercontinental Hotel Group, accusati di price fixing, ossia imposizione illegale di tariffe in violazione delle norme sulla concorrenza del Regno Unito.

I tre portali citati dall’UMIH, almeno per ora, non hanno replicato alle accuse. Tuttavia, hanno fatto sapere che collaboreranno a qualunque altra indagine aperta in altri Paesi. A quando il prossimo capitolo della saga?